Cassazione, sezione Lavoro, n. 21398 del 2019
1. la Corte d'Appello di Firenze, previa riunione dei giudizi ed in riforma delle sentenze del Tribunale di Pistoia che avevano accolto i ricorsi, ha respinto le domande proposte nei confronti del Comune di Pistoia dai litisconsorti indicati in epigrafe i quali, tutti dipendenti comunali che avevano partecipato ad attività di progettazione, direzione dei lavori o collaudo di opere pubbliche, avevano agito in giudizio chiedendo l'accertamento del diritto ad ottenere la liquidazione degli incentivi ex artt. 18 I. n. 109/1994 e 92 d.lgs. n. 163/2006 al netto dell'IRAP e la conseguente condanna dell'ente convenuto al pagamento delle somme che a detto titolo il Comune, erroneamente, aveva trattenuto negli anni compresi fra il 2004 ed il 2009;
2. la Corte territoriale ha premesso che il Tribunale non aveva compreso gli esatti termini della questione perché pacificamente l'IRAP deve gravare sull'ente pubblico, il quale, nel caso di specie, aveva scorporato l'imposta dopo aver determinato gli importi spettanti a ciascun dipendente;
3. ad avviso del giudice d'appello il Comune aveva agito nel rispetto del principio generale secondo cui qualsiasi stanziamento o destinazione di bilancio si deve intendere al lordo delle imposte, principio questo che, quanto all'incentivo previsto dalla legge n. 109/1994, è stato espressamente applicato dal legislatore nel dettare l'art. 3, comma 29, della legge n. 350/2003 con la quale, in via interpretativa, è stato chiarito che la somma stanziata o accantonata deve essere comprensiva di tutti gli oneri accessori, ivi compresi quelli a carico del datore di lavoro;
4. ha precisato che l'espressione atecnica utilizzata dalla norma di interpretazione autentica è di ampiezza tale da ricomprendere tutti i costi che vengono a gravare sull'ente pubblico ed ha aggiunto che negli stessi termini deve essere interpretato l'art. 92 del d.lgs. n. 163/2006, con il quale non sono stati esclusi gli oneri fiscali nella quantificazione dell'ammontare complessivo dello stanziamento bensì si è solo precisato che quest'ultimo deve comprendere "anche" le ritenute previdenziali e assistenziali;
5. ha richiamato a sostegno della decisione i principi affermati da questa Corte con la sentenza n. 8344/2011 nonché la delibera n. 33/2010 con la quale la Corte dei Conti, a Sezioni Riunite in sede di controllo, ha precisato che le somme stanziate sono ripartibili tra i dipendenti destinatari dell'incentivo soltanto se al netto delle risorse necessarie alla copertura dell'onere IRAP;
6. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i litisconsorti indicati in epigrafe sulla base di tre motivi, ai quali ha opposto difese il Comune di Pistoia;
7. il Procuratore Generale in data 13 giugno 2019 ha concluso per l'accoglimento del ricorso;8. entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ..
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CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo i ricorrenti denunciano «violazione e falsa applicazione di legge dell'art. 18 della legge n. 109/1994 (come modificato dall'art. 3, comma 29, della legge n. 350 del 24.12.2003, interpretato autenticamente dall'art. 1, comma 207, della legge n. 266 del 23.12.2005 e abrogato con decorrenza 1.7.2006 dall'art. 256 d.lgs. 163/2006) nonché dell'art. 92, V e VI comma d.lgs. 163 del 12.4.2006.....dell'art. 2 nonché del combinato disposto dell'art. 10 bis commi 1 e 3, comma 1 lett. e) bis, del d.lgs. 15.12.1997 n. 446» e sostengono, in sintesi, che la Corte territoriale, nel ritenere legittima la trattenuta operata dal Comune di Pistoia, oltre a fornire un'interpretazione della normativa in contrasto con il tenore letterale della stessa, ha finito per trasformare inammissibilmente l'IRAP da imposta sulle attività produttive in imposta sul reddito da lavoro dipendente;
1.2. aggiungono che il giudice d'appello, pur richiamandola, si è discostato dalla giurisprudenza dei giudici contabili i quali, contrariamente a quanto asserito dalla Corte territoriale, hanno rimarcato la distinzione fra oneri fiscali e oneri contributivi e previdenziali, escludendo che l'IRAP possa essere ricompresa negli oneri riflessi inclusi nel fondo incentivante;
1.3. sottolineano la non pertinenza del rinvio alla sentenza di questa Corte n. 8344/2011, i cui principi risultano applicabili alla diversa questione degli oneri fiscali gravanti sul reddito del lavoratore e delle ritenute previdenziali;
1.4. sostengono, in sintesi, che gli obblighi di copertura finanziaria, che certamente gravano sull'Ente, impongono a quest'ultimo di accantonare anche la provvista necessaria al pagamento dell'IRAP, ma non incidono sull'ammontare del compenso spettante ai lavoratori che va determinato nel rispetto dei criteri fissati dal regolamento; 2. la seconda censura addebita alla sentenza impugnata l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti che i ricorrenti individuano nella «questione della diversa formulazione dei regolamenti approvati dal Comune di Pistoia per la ripartizione degli incentivi, susseguitisi nel tempo, rispetto alla bozza di nuovo regolamento attualmente in discussione che per la prima volta reca espressa menzione dell'IRAP come onere compreso nel fondo accantonato (sì da intaccare il compenso netto spettante ai lavoratori professionisti o avvocati)»;
2.1. si sostiene che i regolamenti adottati dal Comune di Pistoia, pur attribuendo ai dipendenti la percentuale massima prevista dalla legge, non avevano ricompreso nell'importo del fondo anche l'IRAP, che doveva essere oggetto di separato accantonamento, sicché l'ente non poteva, al momento della liquidazione, ridurre unilateralmente l'importo;2
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3. il terzo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., denuncia la «violazione e falsa applicazione delle norme di carattere regolamentare (di cui all'art. 1 del Regolamento di ripartizione degli incentivi approvato con Delibera di Giunta Comunale di Pistoia n. 250 del 20/11/2000 ed all'art. 1 del Regolamento di ripartizione degli incentivi approvato con Delibera di Giunta Comunale n. 202 del 7/12/2006)»;
3.1. richiamato il testo degli atti regolamentari succedutisi nel tempo, i ricorrenti sostengono che solo con la delibera di giunta n. 151 del 7 luglio 2011, per la prima volta e con disposizione di carattere innovativo, il Comune ha precisato che al momento dello stanziamento occorre indicare in modo esplicito la presenza degli oneri fiscali all'interno del fondo incentivante « articolando l'aliquota da ripartire in una quota indisponibile (destinata alla copertura delle somme che gravano su l'ente per oneri fiscali, nella fattispecie a titolo di IRAP) e la restante quota destinata al pagamento degli incentivi (comprensiva degli oneri previdenziali ed assistenziali a carico dell'Amministrazione)»;
4. i motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente in ragione della loro connessione logico giuridica, sono infondati;
5. l'art. 18 della n. 109/1994, con il quale il legislatore ha introdotto un compenso ulteriore e speciale in favore dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni impegnati nell'attività di progettazione e realizzazione di opere pubbliche, è stato più volte riformulato e le modificazioni ed integrazioni rispetto al testo originario hanno principalmente riguardato, da un lato, la platea dei destinatari, dall'altro l'ambito di intervento della contrattazione collettiva decentrata nonché i rapporti fra quest'ultima e l'esercizio della potestà regolamentare attribuita alle singole amministrazioni ( si rimanda per l'evoluzione della normativa a Cass. n. 13937/2017), aspetti, questi, che non rilevano in modo specifico nella fattispecie;5.1. in tutte le versioni succedutesi nel tempo il legislatore ha quantificato la somma massima da destinare all'incentivazione rapportandola in termini percentuali al costo dell'opera o del lavoro, senza precisare se l'importo così determinato dovesse essere al lordo o al netto degli oneri fiscali, previdenziali ed assistenziali che gravano sull'obbligazione retributiva;
5.2. infatti, nella versione risultante all'esito delle modifiche apportate dalla legge n. 144/1999, la norma disponeva, per quel che qui rileva, «Una somma non superiore
all'1,5 per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro, a valere direttamente sugli stanziamenti di cui all'art. 16, comma 7, è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità ed i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata ed assunti in un regolamento adottato dall'amministrazione, tra il responsabile unico del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo nonchè tra i loro collaboratori. La percentuale effettiva, nel limite massimo dell'1,5 per cento, è stabilita dal regolamento in rapporto all'entità e alla complessità dell'opera da realizzare......;
5.3. il legislatore, pertanto, è intervenuto sul tema, dapprima con la legge n. 350/2003, art. 3, comma 29, prevedendo che «I compensi che gli enti locali, ai sensi dell'articolo 18 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, ripartiscono, a titolo di incentivo alla progettazione, nella misura non superiore al 2 per cento dell'importo a base di gara di un'opera o di un lavoro, si intendono al lordo di tutti gli oneri accessori connessi alle erogazioni, ivi compresa la quota di oneri accessori a carico degli enti stessi.» e successivamente con la legge n. 266/2005, art. 1, comma 207, espressamente qualificata di interpretazione, con la quale si è precisato che «L'articolo 18, comma 1, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, che prevede la
possibilità di ripartire una quota percentuale dell'importo posto a base di gara tra il responsabile unico del progetto e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori, si interpreta nel senso che tale quota percentuale è comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell'amministrazione.»;
5.4. il testo dell'art. 18, come integrato dalla legge interpretativa, è stato poi trasfuso, con modificazioni, nell'art. 92, comma 5, del d.lgs. n. 163/2006 secondo cui «Una somma non superiore al due per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell'amministrazione, a valere direttamente sugli stanziamenti di cui all'articolo 93, comma 7, è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata e assunti in un regolamento adottato dall'amministrazione, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra
i loro collaboratori. La percentuale effettiva, nel limite massimo del due per cento, è stabilita dal regolamento in rapporto all'entità e alla complessità dell'opera da realizzare....»;
5.5. il decreto legislativo, inoltre, ha espressamente previsto, all'art. 256, l'abrogazione della legge n. 109/1994 e della norma interpretativa dettata dal richiamato art. 1, comma 207, della legge n. 266/2005;6. questa Corte, nell'interpretare le disposizioni sopra richiamate, da tempo ha affermato che il compenso incentivante ha natura retributiva e, quindi, su di esso vanno operate le ordinarie ritenute previdenziali e fiscali, ivi comprese quelle gravanti sul datore di lavoro, con la conseguenza che la quota percentuale massima va calcolata al lordo e non al netto delle ritenute medesime (cfr. Cass. nn. 8522/2015, 19328/2012, 8344/2011, 17536/2010);
7. si tratta, però, di pronunce rese in controversie nelle quali venivano in rilievo le obbligazioni, gravanti sul lavoratore e sul datore, direttamente connesse alla prestazione lavorativa in regime di subordinazione, e, quindi, il principio affermato non è risolutivo nella fattispecie, nella quale si discute dell'incidenza dell'IRAP, ossia di un onere posto ad
esclusivo carico dell'amministrazione, tenuta al versamento dell'imposta, ex artt. 2 e 3, comma 1, lett. e bis, del d.lgs. n. 446/1997, in ragione della produzione o dello scambio di beni ovvero della prestazione di servizi;
7.1. la circostanza che l'ammontare dell'imposta debba essere quantificato assumendo a base di calcolo, ex art. 10 del richiamato d.lgs. n. 446/1997, le retribuzioni spettanti al personale dipendente ed i compensi corrisposti ai collaboratori autonomi, non incide sulla natura del tributo, che non colpisce il reddito bensì il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate;7.2. ciò induce il Collegio a ritenere condivisibile l'orientamento espresso dalla giurisprudenza contabile (Corte dei Conti, Sezioni Riunite in sede di controllo, 7.10.2010 n. 33) secondo cui, in ragione dei presupposti impositivi, l'onere fiscale non può gravare sul lavoratore dipendente e, pertanto, si deve escludere che i commi 207 e 208 dell'art. 1 legge n. 266/2005, nella parte in cui si riferiscono, rispettivamente, agli «oneri assistenziali e previdenziali a carico dell'amministrazione» e, quanto al personale delle avvocature interne degli enti pubblici, agli «oneri riflessi», possano essere interpretati nel senso di ricomprendere anche la maggiore imposta che il datore di lavoro dovrà corrispondere a titolo di maggiorazione IRAP, in ragione del compenso aggiuntivo corrisposto al proprio personale;
7.3. per le medesime ragioni la previsione contenuta nell'art. 92 del d.lgs. n. 163/2006, che ricalca sostanzialmente la norma di interpretazione autentica dell'art. 18 della legge n. 109/1994, è riferibile ai soli oneri previdenziali e costituisce un'eccezione al principio di carattere generale sancito dall'art. 2115 cod. civ., secondo cui «l'imprenditore e il prestatore di lavoro contribuiscono in parti eguali alle istituzioni di previdenza e di assistenza»;
8. ciò, peraltro, non significa che la quantificazione dell'incentivo non risenta della necessità di tener conto della maggiore imposta che verrà a gravare sull'ente, quale conseguenza indiretta dell'erogazione del trattamento retributivo speciale ed aggiuntivo, che comporta un innalzamento della base imponibile, perché soccorrono al riguardo altre disposizioni dettate sempre dalla legge n. 266/2005 nonché i principi generali ai quali, in tema di spesa, deve sempre essere orientata l'azione delle pubbliche amministrazioni; 8.1. al riguardo va, infatti, osservato che le disposizioni della richiamata legge n. 266/2005, specificatamente volte a disciplinare le modalità di costituzione dei fondi destinati a spese relative al personale, includono in modo espresso nell'ammontare complessivo anche i maggiori oneri che ne derivano a titolo di IRAP ( commi 181, 185 e 198), e ciò perché, se così non fosse, sui bilanci dello Stato e degli enti pubblici graverebbero spese prive della necessaria copertura;
8.2. si è già detto che l'imposta è commisurata all'ammontare della spesa per il personale sicché ogni incremento della retribuzione accessoria determina anche una maggiorazione
del tributo, della quale non può non tenersi conto ai fini del rispetto del tetto massimo delle risorse disponibili;
8.3. il Collegio, pertanto, condivide e fa proprie le conclusioni alle quali sono già pervenuti i giudici contabili secondo cui, in sede interpretativa, l'art. 1, comma 207 della legge n. 266/2005 e l'art. 92 del d.lgs. 163/2006, che del primo ripete il contenuto, vanno armonizzati con i principi che regolano la costituzione dei fondi, con la conseguenza che le amministrazioni dovranno quantificare le somme che gravano sull'ente a titolo di IRAP, rendendole indisponibili, e successivamente procedere alla ripartizione dell'incentivo, corrispondendo lo stesso ai dipendenti interessati al netto degli oneri assicurativi e previdenziali;8.4. in altri termini «le disposizioni sulla provvista e la copertura degli oneri di personale (tra cui l'IRAP) si riflettono in sostanza sulle disponibilità dei fondi per la progettazione e per l'avvocatura interna, ripartibili nei confronti dei dipendenti aventi titolo, da calcolare al netto delle risorse necessarie alla copertura dell'onere IRAP gravante sull'amministrazione» ( Corte dei Conti n. 33/2010 cit.);
9. le richiamate conclusioni sono coerenti con i principi desumibili, quanto alla spesa per il personale, dal d.lgs. n. 165/2001 le cui disposizioni, pur nella diversità delle formulazioni succedutesi nel tempo, hanno sempre perseguito l'obiettivo di armonizzare l'avvenuta contrattualizzazione del rapporto di impiego pubblico con l'esigenza primaria di garantire il controllo ed il contenimento della spesa pubblica, esigenza dalla quale derivano, da un lato, il divieto per il datore di corrispondere trattamenti economici che non trovino fondamento nella contrattazione collettiva o nella legge ( ciò, perché entrambe dette fonti presuppongono la previa valutazione della sostenibilità finanziaria), dall'altro la previsione di nullità delle clausole della contrattazione integrativa non compatibili con i vincoli di bilancio delle amministrazioni;
10. l'esegesi data alle norme che qui vengono in rilievo si armonizza, altresì, con il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui anche in materia di spese per il personale l'esigenza di prevedere la copertura economica si pone per la pubblica amministrazione contraente quale presupposto per la formazione di una valida volontà negoziale (Cass. 17770/2017 e in tema di incarichi di consulenza Cass. n. 17358/2019); 11. non si traggono argomenti di segno contrario dalle sentenze di questa Corte nn. 16579, 16838 e 17356/2017, riprese da Cass. n. 29375/2018, perché in quei casi sidiscuteva unicamente dell'incidenza degli oneri previdenziali e non dell'IRAP, che il datore di lavoro aveva già restituito sua sponte al personale assegnato all'avvocatura interna; 12. sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato, non potendo i ricorrenti fare leva sulla circostanza che solo in occasione dell'adozione del regolamento approvato con delibera n. 151 del 7 luglio 2011 il Comune di Pistoia abbia fatto espresso riferimento all'accontamento delle somme da versare a titolo di IRAP in relazione all'incentivo corrisposto;
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13. detto obbligo di accantonamento, infatti, discendeva già in precedenza dalla disciplina vigente, da interpretare nei termini sopra indicati, sicché non poteva l'ente corrispondere ai dipendenti l'intero ammontare del fondo stanziato, quantificato nella misura massima, ponendo in essere un atto dispositivo in contrasto con norma imperativa;
14. nella giurisprudenza di questa Corte, infatti, è ormai consolidato il principio secondo cui in relazione al trattamento economico del dipendente pubblico, l'atto deliberativo non è sufficiente a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al dipendente medesimo, occorrendo anche la conformità alle previsioni della legge e della contrattazione collettiva, in assenza della quale l'atto risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la Pubblica Amministrazione, a ciò tenuta in forza della previsione di cui al richiamato art. 97 Cost., deve ripristinare la legalità violata (cfr. fra le più recenti Cass. n. 3826/2016, Cass. 16088/2016 e Cass. n. 25018/2017);
15. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno poste a carico dei ricorrenti nella misura indicata in dispositivo;
15.1. sussistono le condizioni di cui all'art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in C 200,00 per esborsi ed C 6.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato